NINOTCHKA di Ernst Lubitsch
(Usa, 1939, 110’)
Regia: Ernst Lubitsch, sceneggiatura: Charles Brackett, Billy Wilder, Walter Reisch, fotografia: William H. Daniels, musica: Werner R. Heymann, interpreti: Greta Garbo, Melvyn Douglas
«Nel film sceneggiato da Billy Wilder e Charles Brackett (delle commedie lubitschiane, la più aderente al canone sentimentale hollywoodiano), Lubitsch allestisce il suo mondo di grandi alberghi, porte girevoli, nobiltà squattrinata e aristocrazia morale della servitù: siamo a Parigi, la città ha stregato i tre agenti sovietici mandati da Mosca, poi il suo dolce delirio d’amore e champagne scioglierà anche l’inflessibile commissario Nina Yakusciova. Garbo ride, ed è una risata di resa a una vita nuova, una risata d’addio all’edificazione socialista, formidabile per potere pubblicitario, perfetta per messinscena comica: ma carica di presagi (lei non riuscì a produrne il suono, fornito al montaggio dalla voce di un’altra), quella risata fu il principio della fine anche per la carriera della diva. Resta il fatto che questo s’è rivelato nel tempo il suo film più resistente e popolare, e di Greta Garbo rimane oggi più Ninotchka di quanto rimangano
Anna Karenina, Margherita Gauthier o la regina Cristina. E resterà per sempre, nell’olimpo delle battute memorabili, quel suo languido, alcolico chiedere tempo al fuoco dell’ideologia: “Compagni! La rivoluzione è in marcia, le bombe cadranno, la civiltà crollerà a pezzi. Ma per favore, non adesso...”». Il Cinema Ritrovato «[...] Alcuni tra i più brillanti cervelli emigrati a Hollywood tra gli anni ‘20 e gli anni ‘30 dall’Europa Centrale (quello che è stato felicemente definito l’asse “Vienna-Berlino-Hollywood”) si riuniscono intorno a questa commedia: da Lubitsch a Billy Wilder. Commedia che, attraverso le sue brillantissime soluzioni parodistiche ai danni della rozzezza bolscevica, contiene, combinate tra loro, le qualità specifiche di ciascuno dei collaboratori: dal tipico cinismo lubitschiano, nettamente prevalente in una regia assolutamente priva di realismo, al taglio corrosivo dei daloghi wilderiani.»
Paola D’Agostini, Cinema & Film