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PARANZA - IL MIRACOLO

In una grande città d’Italia. L’Italia del 2013. L’Italia del futuro che verrà e che è già avvenuto. Un’Italia in cui tutti abbiamo perso tutto. Un paese che somiglia all’immediato dopoguerra. Fast forward-rewind. Le lancette del tempo vanno avanti e indietro. In una metropoli dove ci si accende e ci si spegne secondo un ritmo misterioso, quattro individui si trovano per strada: ci sono finiti. Le loro vite sono colte in momenti diversi del tempo, prima della caduta, durante la caduta, dopo la caduta.
Un manager licenziato; una donna malata in attesa di cure; una cantante di talento; una signora benestante ma terremotata: sono le dramatis personae di “PARANZA – IL MIRACOLO” .
Il diritto al lavoro, il diritto alla casa, il diritto alla salute e il diritto all’espressione della propria identità, i diritti conquistati ieri, sono oggi diventati dei miraggi.
Si lotta per la sopravvivenza. Si canta per non morire di stenti. E intanto si finisce col dormire in macchina, facendo finta che sia la stessa bella casa di sempre.
Perché Paranza?
Questa parola, che significa “barca o associazione di barche che pescano insieme”, designa anche i gruppi di fedeli che il lunedì in Albis vanno dai quartieri di Napoli e dai paesi della provincia in pellegrinaggio alla Madonna dell’Arco. Spesso scalzi, in tenuta rituale, portano sulle spalle una pesante statua e cantando e danzando sottopongono il proprio corpo a digiuni e fatiche fisiche, per portare la richiesta di grazia alla Madonna.
Nella nostra idea, la “paranza” che vedremo in scena è quella degli “aventi diritto” che si trasformano di necessità in “richiedenti miracoli”. Persone che hanno perso tutto ma che si tengono attaccati alla loro umanità.
Una Paranza che parla, mormora, intona, canta e continua a sperare. Per non rassegnarsi. Per ricordarci che siamo esseri umani. Con bisogni, diritti e desideri.

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