"Il mistero di Alcesti"
IL MISTERO DI ALCESTI
di Marguerite Yourcenar
riduzione ed adattamento a cura di Franceco Arzone
La leggenda di Alcesti e Admeto è, tra i miti greci, forse quello che maggiormente contiene elementi fiabeschi. La narrazione potrebbe benissimo cominciare con "C'era una volta un principe amato da Apollo...".
Ma "il favore degli dèi porta sventura ai mortali", e per espiare la colpa di essere prediletto da Apollo, al principe Admeto si presenta un'unica alternativa: affrontare la Morte o trovare chi - volontariamente - si offra di morire al suo posto. L'unica disposta ad assumere coraggiosamente su di sé il terribile fardello è Alcesti, sua sposa devotissima. Con evidente sollievo di Admeto, il sacrificio di Alcesti si consuma tra rimproveri reciproci di viltà ed egoismo. Solo l'arrivo di Ercole, uno straniero, un "bruto dal cuore puro" riuscirà nell'impresa di resituire Alcesti al mondo degli affetti, contendendola addirittura alla Morte, in un epico scotnro di antinomie.
Con "Il mistero di Alcesti" Marguerite Yourcenar recupera la fedeltà al modello greco, ma ne cambia l'ambientazione. Il mito si imborghesisce e l'attenzione della scrittrice si concentra sull'approfondimento del rapporto problematico tra i due sposi, segnato da continue incomprensioni e tensioni che si dissolvono solo quando subentra il ravvedimento di Admeto, A differenza di Euripide, la Yourcenar crea la condizione affinché Alcesti possa ascoltare, non vista, le riflessioni del marito. Di fronte alle sue parole patetiche e di forte sentimento, ella finalmente rompe il silenzio e parla. Il lieto fine è completo e i due sposi ricongiunti si raccontano le recenti tragedie come se fossero state vissute in un sogno. La tragedia è rimossa dalla coscienza borghese, lasciando spazio alla commedia, se non addirittura alla satira.
Il mito di Alcesti ci mostra due temi radicalmebte confitti nell'inconscio e nella coscienza: l'idea dell'immortalità unita a quella di un dio salvatore trionfatore sulla morte, e l'idea della salvezza di una creatura ottenuta con il sacrificio di un'altra.
Che non si tratti di una tragedia è evidente dalla frequenza con cui si ripresentano situazioni grottesche: c'è un Ercole ubriaco che biascica banalità sull'ineluttabilità della morte, c'è un battibecco tra Admeto e suo padre che disputano su chi dei dua sia più codardo, c'è la scena finale in cui Admeto è diviso tra il cordoglio per Alcesti e l'evidente desiderio per la donna misteriosa che Ercole gli conduce, che si rivelerà essere la stessa Alcesti. Ma il racconto ci condice ben oltre la satira, per mostrarci dietro il velo del mito, la sofferenza e la rabbia di un'eroina tragica; ci pone domande scomode sulla natura della tragedia stessa: perché ci sentiamo sollevati nell'osservare le sofferenze altrui? Come possono la bellezza di una storia o la lezione che essa ci insegna cancellare la miseria che vi viene rappresentata? Nella nostra idea di lieto fine dove trovano spazio i veri sentimenti dei personaggi? E' più che evidente che Alcesti è tutt'altro che felice della situazione: ella sta morendo perché le circostanze l'hanno spinta a farlo, perché la sua reputazione di brava moglie lo richiede. Ma di certo non lo vuole fare. E le parole che rivolge ad Admeto prima di morire sono piene di rabbia malcelata. E quanto ad Admeto, le sue ricriminazioni di non poter vivere senza la sua moglie adorata, suonano piuttosto fasulle, quando ci si ricorda che lui è l'unica ragione per cui lei deve morire. La sua rassegnazione di fronte al volere ineluttabile degli dèi, o del Fato, appare una giustificazione alquanto misera: con ben altra forza egli si è battuto per cercare un sostituto. Altro che rassegnazione! Lo stesso elemento ultraterreno, magico e incomprensibile agli uomini, il volere, o meglio, il capriccio degli dei che decidono della vita degli uomini in modo totalmente arbitrario, risulta qui più grottesco che tragico. Se fossimo in una tragedia shakesperiana si potrebbe dire che "Noi siamo per gli dèi quello che sono le mosche per i monelli: ci uccidono per divertimento" ed accettare con storico eroismo il compiersi del nostro destino. Ma dal fondo di questo mito antico ancora una volta emerge l'elemento grottesco e se nel destino di Alcesti ed Admeto è la componente divina a stabilire gli eventi, è inevitabile che la salvezza arrivi da un semidio nel quale la componente umana supera quella divina: Ercole riuscirà nell'impresa solo grazie alla sua umanità.
Agli dei invidiosi non resterà che continuare a spiare le vicende degli uomini.
Personaggi e Interpreti
APOLLO- Federico Galbieri
LA MORTE- Giuliana De Guidi
ALCESTI - Pamela Occhipinti
ADMETO - Walter Peraro
ERCOLE - Fabio D'Alberto
LA SERVA GIORGINA- Lavinia Ferro
L'IMPRESARIO DELLE POMPE FUNEBRI- Federico Galbieri
FERETE, PADRE DI ADMETO - Francesco Arzone
REGIA: Francesco Arzone
SCENOGRAFIE: Gherardo Coltri, Luca Altamura
COSTUMI: Maddalena Lorenzetti
TECNICO AUDIO E LUCI: Andrea Vian